Una maschera color del cielo di Bassem Khandaqji (E/O, 2024)
Traduzione dall’arabo di Barbara Teresi
18 euro
Una maschera colore del cielo, che nel 2024 ha vinto l'International Prize for Arabic Fiction, è stato scritto nelle carceri israeliane, dove l’autore Bassem Khandaqji è rinchiuso dal 2004, accusato di presunta complicità nell’attentato del 1° novembre 2004 al Carmel Market di Tel Aviv. Il titolo fa riferimento alla carta di identità blu emessa da Israele, appartenuta a un israeliano e trovata nella tasca di un vecchio cappotto, in un mercato dell’usato, dal protagonista Nur, un archeologo che vive in un campo profughi di Ramallah. Vinto dal desiderio di lasciarsi alle spalle il campo, di potersi spostare liberamente e visitare i siti archeologici di cui è appassionato, Nur, grazie ai suoi occhi azzurri e alla pelle chiara, diventa “l’ashkenazita”, adottando questa maschera per entrare nella tana del lupo: farsi assumere nello scavo archeologico nei pressi dell’insediamento Mishmar HaEmek. Da qui inizia una narrazione su più livelli: tra Nur, il palestinese, e Ur, il suo doppio israeliano di cui ha assunto l’identità, intervallata dalla corrispondenza con Murad, il suo migliore amico, in carcere con una condanna all’ergastolo. Murad rappresenta la coscienza di Nur, il legame con quell’identità dissimulata per poter essere trattato da essere umano, in un paese in cui l’esistenza palestinese è continuamente cancellata e disumanizzata. E qui l’archeologia assume una carica simbolica precisa: la battaglia per la memoria, in una terra in cui la legittimazione storica di Israele si fonda sulla cancellazione di quanto esisteva prima del 1948, prima della Nakba. Così Nur si addentra sempre più a fondo nella mentalità dell’occupante. “Voglio imparare tutti i nomi sionisti per poterti fronteggiare”, dirà rivolto a Ur in un dialogo interiore.
“È grazie a me se in questo periodo sei diventato un essere umano”, ribadisce lui qualche pagina più avanti. E se Nur si togliesse la maschera? Cosa vedrebbe Ur davanti allo specchio?
Le sette lune di Maali Almeida di Shehan Karunatilaka (Fazi, 2023)
Traduzione dall’inglese di Silvia Castoldi
20 euro
Malinda Albert Kabalana Almeida, conosciuto in tutta Colombo come Maali, fotografo per la stampa e fixer durante la guerra civile dello Sri Lanka, si ritrova defunto all’inizio degli anni ’90 in un aldilà dove le contese per il potere e la giustizia sono tutt’altro che sopite. Trasportato dai venti, continua a seguire le vicende dei suoi cari ancora vivi e a scoprire dettagli sulla propria morte violenta, che non riesce a ricordare. Giocatore d’azzardo, gay, Maali è un personaggio sopra le righe, vissuto nella bolla privilegiata e sfrenata della metropoli nelle pause tra una spedizione fotografica e l’altra, dove conosce un paese dilaniato dalla brutalità e ignorato dalla popolazione cittadina e benestante. Eppure è un’ironia leggera e beffarda che guida il libro di Shehan Karunatilaka, autore singalese che proprio con questo romanzo si è aggiudicato il Booker Prize nel 2002. Una narrazione accuratamente architettata che rifacendosi ai Versetti satanici di Rushdie e al Maestro e Margherita di Bulgakov (modelli di narrazione “ultraterrena”) esplora il tema postcoloniale dell’interiorizzazione di gerarchie culturalmente costruite (che orchestrano i rapporti tra singalesi e tamil e di entrambi i gruppi con gli ex colonizzatori britannici) e l’affettività queer. La storia di Maali Almeida è però, con i suoi scatti fotografici raccolti per denunciare la ferocia della guerra, prima di tutto una domanda aperta sulla possibilità di lasciare una traccia significativa nel mondo e influenzarne le sorti.
Amici di una vita di Hisham Matar (Einaudi, 2024)
Traduzione dall’inglese di Anna Nadotti
21 euro
Amici di una vita è l’ultimo romanzo di Hisham Matar, scrittore cosmopolita di origini libiche che vive a New York. Il romanzo abbraccia circa tre decenni, dalla metà degli anni Ottanta agli anni successivi alla caduta di Gheddafi nel 2011. Dopo il diploma, Khaled lascia Bengasi e si trasferisce a Edimburgo per studiare letteratura all’università, dove fa presto conoscenza di Mustafa, un suo connazionale che come lui appartiene al gruppo di “lettori” motivati allo studio e tenuti d’occhio dalle spie infiltrate del regime di Gheddafi. È aprile del 1984 quando i due amici decidono di partecipare alla manifestazione contro il regime davanti all’ambasciata libica a Londra. Proprio dalla finestra di quell'ambasciata parte una raffica che uccide una poliziotta e ferisce altre undici persone. Da quel momento le cose prendono una piega inaspettata: Khaled rimarrà a Londra dove sarà costretto a vivere di nascosto, mentendo alla famiglia. Nessun luogo sarà più casa e anche le relazioni si muoveranno nelle incertezze dolorose dell’esilio, in un andirivieni fatto di amore e distanza, fili annodati nelle maglie di una storia che presenta il suo conto: vent’anni dopo scoppiano le "primavere arabe", il regime in Libia viene sovvertito e qui si fa più doloroso il peso fisico e morale che il narratore, Khaled, deve sopportare a Londra, una città fatta per persone come lui che “possono viverci una vita intera restando invisibili come fantasmi”. Bellissime, tra le altre, le pagine dedicate al dialogo tra Khaled e suo padre, dove si conferma la scrittura di Matar, capace di una bellezza dolente e allo stesso tempo luminosa.
Piante che cambiano la mente di Michael Pollan (Adelphi, 2022)
Traduzione dall’inglese di Milena Zemira Ciccimarra
22 euro
Michael Pollan è un giornalista che di piante se ne intende, con un interesse spiccato sugli effetti terapeutici delle piante dagli effetti psichedelici. In questo libro ripercorre la storia sociale di tre sostanze: oppio, caffeina e mescalina. Come è cambiato il loro uso nella storia? In che modo il loro consumo è stato naturalizzato, nel caso della caffeina, o criminalizzato, nel caso dell’oppio? In quale congiuntura storica il caffè si è imposto come “la bevanda civile” che ha in parte soppiantato l’alcol delle taverne? Quali implicazioni terapeutiche può avere la mescalina, oltre alle domande che questa impone sulla riappropriazione culturale, dal momento che è tradizionalmente usata dai nativi americani?
In questo saggio-memoir-reportage, che tiene insieme lavori scritti in momenti diversi, più o meno vicini ai lasciti della fallimentare “guerra alla droga” negli USA, Pollan affronta queste e altre domande, mettendosi in gioco in prima persona: racconta di suoi esperimenti, ricette, aneddoti, che, uniti a una certa capacità divulgativa, compongono un efficace impianto narrativo, lasciando a chi legge domande ancora aperte su cosa sia una droga, cosa una dipendenza o una cattiva dipendenza.
La banda del pianerottolo di Espérance Hakuzwimana (Mondadori ragazzi, 2023)
16,50 euro
La banda del pianerottolo racconta l’alleanza tra Camille, Sam, Daria, Timoteo (detto Timo) e Noki, bambin* di età e background diversi, che ha per base il corridoio tra gli appartamenti di una palazzina nella città di T., ma si concentra su un altro luogo, davvero speciale, che questa variegata compagnia si occuperà di difendere: l’edicola di Ruben Hola, un adulto che sfugge alle convenzioni familiari e offre ai più piccoli un luogo protetto dove vivere grandi avventure. Si tratta di un romanzo per tutte le età (il pubblico più indicato ha più o meno undici anni, ma non c’è motivo di sottrarlo ai più grandi e ai più piccoli). Tra gli elementi che rendono il libro davvero riuscito c’è senza dubbio il personaggio dello “zio” Ruben, magico come solo certi adulti fuori dagli schemi possono essere agli occhi delle persone piccole che ispirano e attraggono. Il romanzo è anche un tentativo compiuto di tradurre in narrativa per ragazzi riflessioni teoriche sulla diversità (legata principalmente al corpo e alla razzializzazione) che l’autrice Espérance Hakuzwimana ha portato avanti altrove (ad esempio nel saggio di pedagogia antirazzista Tra i bianchi di scuola). In scena c’è una realtà sociale composita e imprevedibile, in cui finalmente in tant*, ognuno a suo modo, potranno rispecchiarsi.
Se difficilmente in questo momento possiamo pensare alle acque marine e alle acque dolci come luoghi incontaminati, davanti a cui goderci il nostro libro dell'estate, possiamo portare l'immaginazione a chiederci se esista per questi luoghi una possibilità di ritorno.
Ecco allora la proposta di due storie corali, che nutrono immaginari di comunità resistenti in contesti e con strategie diverse e che, da diversi sud, riescono a ribaltare quella sensazione spesso sovrastante di un mondo alla deriva.
Uno è il fumetto Bestie in fuga, di Daniele Kong (Coconino, 2024). Il racconto è ambientato su un'isola di fantasia situata nel mar Tirreno, chiamata Dieci, dove si parla la lingua napoletana. I personaggi che la abitano sono i protagonisti della storia, di cui è il giovane Franco a tenere il filo conduttore, senza con ciò farne perdere il suo respiro corale, per tutte le 600 pagine. Rimasta inizialmente fuori dalle traiettorie del boom economico che trasformano velocemente l'Italia del secondo dopoguerra e ancorata alla semplicità dei riti quotidiani e del suo vivere comunitario, a irrompere sulla scena dell'isola sono un grande peschereccio del commercio del pesce e una troupe cinematografica venuta da Roma per girare un film, contribuendo a una nuova veste glamour dell'isola, funzionale al turismo. Come una sceneggiatura dal disegno in bianco e nero, i dialoghi che animano le scene, i frammenti narrativi in corsivo e le colonne sonore che suggeriscono la melodia ai cambi di scena, questa commedia di Daniele Kong esprime una critica alla potenza distruttiva del turismo di massa e di un'idea di sviluppo volta al mero profitto di pochi. Allo stesso tempo, fa risuonare in modo a tratti commovente, nei piccoli atti della vita di ciascuno, un' umanità perduta che, ritrovandosi comunità, rappresenterá l'unica áncora di salvezza al declino rapido della storia.
L'altro che vogliamo riproporre è un libro di qualche anno fa, Laguna, di Nnedi Okorafor (Zona42, 2017 traduzione di Chiara Reali). Ambientato in modo realistico in una Lagos contemporanea, segnata dalla devastazione di acque e ambiente dovuta all'accaparramento delle materie prime e da una forte corruzione del sistema e dei valori, la quotidiana e variegata routine di migliaia di persone è scossa da un'enorme esplosione acquatica, che segna l'arrivo di creature aliene, per la prima volta in Nigeria nella narrativa fantascientifica. A esserne sommersi per primi, in senso sia letterale che metaforico, sono i 3 predestinati protagonisti umani della storia: la biologa marina Adaora, il soldato Agu - entrambi nigeriani- e il rapper ghanese Anthony. Il loro incontro con la mutaforma Ayodele segnerà l'inizio del caos nelle loro vite e nel paese, ma anche un'alleanza per determinare un radicale cambiamento. La potenza degli esseri marini e la tecnologia, non quella riprodotta artificialmente ma quella fatta di energie che muovono dalla propria essenza extra-terrena, sanno far apparire flebile al loro cospetto la potenza distruttiva delle coscienze umane corrotte e, non senza violenza, spazzarla via, perché una rigenerazione possa avvenire. Alternando grottesco a poesia, grazie alla fantascienza e il realismo magico di cultura igbo, l'autrice, nata negli Stati Uniti ma con il cuore nelle sue origini nigeriane, ci propone una visuale della Nigeria lontana dagli stereotipi e la relazione con mondi altri come inedita possibilità al ribaltamento della società attuale.